lavoro a distanza. L’Italia scala la classifica e raggiunge la media europea: il 12,2% degli occupati ha lavorato abitualmente da casa nell’anno della pandemia.

Lavoro a distanza: una conferma della trasformazione che sta attraversando l'Italia e l'Europa.

Nel 2019 l’Italia si trovava nel gruppo di coda dei Paesi europei per percentuale di occupati che lavoravano “abitualmente” da casa (3,6%). Nel 2020 il nostro Paese ha raggiunto la media UE in un contesto di aumento generalizzato del lavoro a distanza dovuto alla crisi Covid-19. Particolarmente rilevante l'aumento delle donne: il 14,3% dichiara di lavorare abitualmente da casa (quintuplicate rispetto al 2019).mFinlandia, Lussemburgo, Irlanda e Austria balzano ai primi posti superando in graduatoria i Paesi Bassi che passano comunque dal 14,1% del 2019 al 17,8% del 2020. Rimane aperta la sfida di una transizione dal “telelavoro” come replica di un lavoro di ufficio ad un vero “smart working” integrato con l’uso intelligente delle tecnologie, della mobilità e dell’inclusione sociale.

13.05.2020

07 minuti: tempo di lettura

Il boom dello smart working in Italia e in Europa nell’anno della pandemia: notevole il balzo dell’Italia.

Nel 2019 solo il 3,6% degli occupati dichiarava di lavorare “abitualmente” da casa.
Dagli ultimi dati Eurostat emerge come la situazione sia nettamente cambiata.
Infatti, nel 2020, sicuramente a causa del Covid-19 che ha costretto l’Italia a riorganizzare il lavoro per far fronte alla pandemia mondiale, il nostro Paese ha raggiunto la media UE con il 12,2% di occupati che dichiarano di lavorare da casa abitualmente.
I Paesi Bassi, che si trovavano in cima alla classifica con il 14,1%, ora si trovano alla quinta posizione con il 17,8%.
Finlandia e Lussemburgo, che si trovavano rispettivamente al secondo e terzo posto nel 2019, ora sono al primo e secondo posto con il 25,1% per la Finlandia e i 23,1% per il Lussemburgo.

Nel lavoro svolto solo a volte da casa l’Italia rimane in coda: un indice del carattere ancora “forzato” e immaturo del lavoro a distanza?


Il “lavoro che non viene effettuato abitualmente da casa” non appare essere stato nemmeno sfiorato dal grande cambiamento descritto sopra. L’Italia, in questo caso, rimane in fondo alla classifica. Rispetto al 2019, in cui l’1,1% degli occupati dichiarava di lavorare “a volte” da casa, nel 2020 passiamo all’1,4%.

E’ una percentuale che non consente al nostro Paese di migliorare rispetto al penultimo posto del 2019.

Le prime due posizioni della classifica rimangono invariate rispetto al 2019. In testa rimane sempre la Svizzera, che passa al 35%, un dato certamente importante e significativo. Anche l’Islanda vede un aumento sostanzioso dei lavoratori che svolgono le proprie mansioni da casa arrivando al 29,3%.

Questo ritardo rafforza i dubbi sulla qualità del lavoro a distanza effettuato in molte circostanze durante la pandemia: soluzione forzata e improvvisata  a causa dei lockdown e della chiusura delle scuole piuttosto che occasione di cambiamento con momenti di integrazione con il lavoro in presenza ?

Se Svizzera, Islanda, Svezia, Lussemburgo, Danimarca e Belgio superano il 15% di lavoratori che svolgono lavoro a distanza “a volte”, ciò potrebbe riflettere un rapporto più maturo nel combinare le diverse forme di lavoro?

Il grande balzo del lavoro femminile: una conferma di “soluzioni forzate”?


Come sappiamo, il Covid-19 ha impattato molto sull’organizzazione del lavoro femminile.
Se nel 2019 solo il 3,3% delle donne lavoratrici dichiarava di lavorare “abitualmente” da casa, nel 2020 la percentuale sale al 14,3%. Sopra alla media UE (13,2%). Quanto ha influito la chiusura delle scuole insieme ad altri fattori connessi al lockdown? È lecito pensare che il lavoro a distanza, facilitato dalla normativa, sia stato per molte donne una scelta virtualmente obbligata.

Il lavoro maschile leggermente sotto la media

Anche la percentuale di uomini è aumentata, anche se in misura minore rispetto a quella delle donne.
In particolare passiamo da un 3,8% ad un 10,7%, ma rimaniamo al di sotto della media UE (11,5%).

Insomma, la situazione è totalmente cambiata per i lavoratori italiani.
Il Covid-19 ha costretto lavoratori e aziende a riorganizzare i metodi e i luoghi di lavoro e i dati riflettono questo grande cambiamento.
Sicuramente il fenomeno dello Smart Working sarà una costante nel nostro futuro.
Forse cambierà ancora, ma sicuramente continuerà a far parte del nostro lavoro e della nostra vita.


lI lungo percorso verso il “lavoro intelligente”.


La normativa ha certamente favorito il “boom” del lavoro a distanza in Italia in un anno molto difficile, consentendo, da un lato, di salvaguardare la continuità dei processi produttivi e, dall’altro, di tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori.
Terminata la fase emergenziale e la conseguente disciplina semplificata dello smart working, saranno diversi i nodi da sciogliere per favorire la transizione verso un “lavoro intelligente”. Oltre ad un possibile riassetto della normativa, potrà essere ancor più centrale il ruolo dell’autonomia collettiva nella definizione di accordi volti a tutelare la qualità del lavoro e a favorire un bilanciamento tra le esigenze di imprese e lavoratori. In particolare, un punto di attenzione dovrà riguardare la relazione tra tempi di lavoro e organizzazione per fasi, cicli, obiettivi.
Certamente l’esperienza maturata nel periodo di crisi ha consentito di sviluppare riflessioni sullo sviluppo regolatorio e organizzativo del lavoro a distanza.
Quanto questo esperimento in larga parte forzato riuscirà ad avere un impatto favorevole sul futuro, in termini di produttività, qualità del lavoro e della vita?
Abbiamo indicato, in un nostro recente rapporto, che il potenziale del lavoro a distanza è molto rilevante nel nostro Paese ma che richiede apprendimento, adattamento e trasformazioni. Queste sembrano certamente essere state innescate dalla crisi Covid ma ora il percorso va ripreso e sviluppato in termini di qualità.

Lavoro e studio “intelligenti”: la trasformazione possibile.

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