la distribuzione dei salari minimi in Europa.
Se consideriamo l’Europa dei 27 Paesi, i salari minimi, sebbene con regolamentazioni assai diverse tra loro, sono previsti in 21 di questi. Senza tenere conto della complessità delle differenti applicazioni (applicazione sul lordo o sul netto della retribuzione, numero delle mensilità, etc.) sappiamo che il Paese europeo con il salario minimo più alto è il Lussemburgo (11,97 euro all’ora) mentre all’estremo opposto troviamo la Bulgaria (1,62 euro all’ora). I 6 Paesi che non prevedono i salari minimi sono, insieme all’Italia: Austria, Danimarca, Cipro, Finlandia e Svezia. In questi sei Paesi la garanzia di tutela rispetto al trattamento, non solo economico, dei lavoratori è in capo alla contrattazione collettiva, che molto spesso prevede, già nei singoli contratti, il minimo tabellare da rispettare.
la contrattazione collettiva di primo livello in Italia.
Secondo uno studio di Istat del 2020, circa il 98% delle imprese con almeno 10 dipendenti, ad esclusione del settore agricolo, applica almeno un CCNL, mentre, rispetto alle imprese con almeno un dipendente nel settore privato extra-agricolo, INAPP conteggia una copertura per i lavoratori dipendenti pari all’88,9%. Grazie a queste alte percentuali di copertura, OCSE e AIAS fanno arrivare la percentuale di copertura al 100% tenendo conto del fatto che, nel nostro Paese, i minimi tabellari previsti dai contratti collettivi vengono utilizzati dai giudici del lavoro come riferimento per accertare se le imprese retribuisco in maniera congrua i lavoratori e le lavoratrici dipendenti, in conformità all'articolo 36 della Costituzione italiana.
La contrattazione collettiva in Italia è dunque ben rappresentata, molto rappresentata, forse troppo rappresentata. È qui che iniziano a sorgere alcuni problemi. Osservati questi dati occorre infatti domandarsi quanti sono i CCNL in Italia. Una recente ricerca della Fondazione Giuseppe Di Vittorio, presentata il 3 maggio 2022, fa emergere un anomalo incremento dell’80% dei contratti collettivi depositati in Italia nell’ultimo decennio: siamo arrivati quasi a superare i mille contratti collettivi. Un numero tanto alto porta con sé il forte rischio di creare non solo confusione, ma anche effetti controproducenti alla tutela stessa dei dipendenti a causa della diversa rappresentatività dei soggetti che registrano i contratti. A fronte di una tale crescita occorre infatti chiedersi in che modo i nuovi contratti si differenzino da quelli già presenti. Laddove si sceglie di non fare riferimento al contratto più forte già esistente, esiste la possibilità che nuovi contratti possano giocare al ribasso rispetto al minimo tabellare o prevedere tutele inferiori.
le diverse posizioni rispetto al salario minimo: applicazione sì, ma purché si considerino anche gli altri fattori.
Quel che sembra chiaro è che, in ogni caso, applicando un unico strumento uniforme ad un territorio che tanto uniforme non è si va incontro per forza di cose a conseguenze eterogenee. Un importante nome che da tempo in Italia ha alimentato il dibattito su questo tema è quello di Tito Boeri, che da tempo fa presente come contratti collettivi fortemente centralizzati possono aumentare la dispersione dei salari e dei redditi, in particolar modo in Paesi come il nostro, nei quali tra le aree e le regioni sono presenti differenze significative in termini di produttività. In parole semplici, a parità di salario sappiamo bene che le spese per la vita quotidiana sono assai diverse a seconda del luogo in cui si vive e dunque due individui che svolgono un medesimo lavoro, percependo un medesimo stipendio, possono avere una qualità della vita piuttosto diversa. È proprio per evitare un effetto contrario rispetto agli intenti, ossia la crescita delle diseguaglianze, che alcune voci, come ad esempio quella della Cgil, fanno presente come il salario minimo, appoggiato anche da Confindustria, non deve essere considerato nella sua singolarità, ma insieme ad un complesso di iniziative, in primis la contrattazione collettiva, ma non solo. Uil, che si è detta disponibile ad aprire il dialogo sul tema, ha fatto presente come la progettazione di politiche industriali di crescita e sviluppo devono viaggiare di pari passo con il dibattito sul salario minimo.
la peculiarità del mercato del lavoro italiano: il lavoro sommerso.
Il nostro mercato del lavoro, come purtroppo sappiamo, soffre del peso del lavoro sommerso. Un rischio insito nel considerare il salario minimo in maniera separata dalla contrattazione collettiva, rischio portato all’attenzione dalla posizione della Cisl, è quello di aggravare ancor più le condizioni dei lavoratori e delle lavoratrici che dovrebbero essere i principali beneficiari di questa misura ossia coloro che si collocano nelle fasce di lavoro più povero. Pensiamo ad esempio a tutti i lavoratori che vengono assunti regolarmente per un monte ore inferiore a quello effettivamente svolto e potrebbero vedersi ridurre il monte ore “regolare” venendo a perdere anche tutte le tutele conseguenti.
l’articolo 39 della Costituzione.
Un ulteriore elemento che compone il dibattito su questi temi è quello riguardante l’Articolo 39 della Costituzione, in particolare la parte finale: “I sindacati registrati hanno personalità giuridica. Possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce.”. Una corretta applicazione di tale articolo garantirebbe l’efficacia dei contratti collettivi “erga omnes”. Vi sarebbero cioè tutele anche per i lavoratori non coperti dalla contrattazione collettiva poiché verrebbero ad essi estese le tutele previste dal contratto collettivo più forte per il loro settore di appartenenza. Dal punto di vista giuridico, la corretta applicazione di tale articolo sarebbe già un importante passo avanti nel processo di maggiori tutele dei lavoratori e delle lavoratrici e del contrasto alla povertà lavorativa.
tanti fattori da considerare nel loro complesso.
Come abbiamo visto, il tema del salario minimo non è da considerarsi a sé stante, ma rappresenta uno strumento, dei tanti da utilizzare, poiché va unicamente ad incidere sulla retribuzione oraria di base. La retribuzione complessiva è composta da una molteplicità di fattori. Chi è abituato a ricevere una busta paga, ad esempio, comprende bene quanto è complesso ed articolato il nostro sistema retributivo: per avere un impatto a tutela dei lavoratori è necessario tenere in considerazione tutti gli elementi coinvolti.