Intervista a Tiziano Treu, presidente del CNEL, sul “XXII Rapporto Mercato del Lavoro e Contrattazione Collettiva 2020”

L’emergenza Covid ha accelerato tendenze preesistenti e favorito l’interdipendenza tra lavoro-salute e contesto ambientale.

L'emergenza sanitaria in atto ha avuto un profondo impatto su tutto il mondo del lavoro e delle imprese. Il recente studio CNEL, “XXII Rapporto Mercato del Lavoro e Contrattazione Collettiva 2020”, presentato il 12 gennaio 2021, fotografa una situazione senza precedenti. 

Randstad Research ha intervistato il professor Tiziano Treu per approfondire alcuni aspetti importanti del rapporto.

scopri lo studio

16.02.2021

07 minuti: tempo di lettura

Le circostanze straordinarie verificatesi nel 2020 hanno inciso su questa 23esima edizione del rapporto, arricchendo le tematiche analizzate? 

L’emergenza sanitaria arrivata nel corso dello studio ha avuto un forte impatto sulle dinamiche del mercato del lavoro. Ci siamo resi conto della presenza di una maggiore interdipendenza, non soltanto tra i settori, ma anche tra le politiche economiche e del lavoro; per questo abbiamo ritenuto importante allargare la nostra attenzione. Oltre agli argomenti classici abbiamo approfondito anche i temi dell’immigrazione, dell’active ageing, ampliando la riflessione anche su questi aspetti. 

Naturalmente gli effetti dell’emergenza sanitaria coinvolgono in maniera trasversale numerosi capitoli del rapporto.

Quali sono, a Suo avviso, le principali criticità che il nostro mercato del lavoro si trova ad affrontare?

La considerazione di base è che non ci troviamo ad affrontare nuove tendenze. Erano quasi tutte già esistenti, soltanto che l’emergenza sanitaria da Covid-19 le ha accelerate, mettendo in discussione molte delle stesse ipotesi di fondo. Ad esempio, i settori che erano spesso distinti tra loro sono diventati sempre di più interdipendenti a cominciare dal rapporto tra lavoro, sicurezza e ambiente. Ciò perché nessuno aveva mai pensato che la sicurezza, da normativa laterale, potesse permeare e condizionare tutto lo svolgimento della produzione e del lavoro.

Come si è declinata, nell’ultimo anno, la maggiore interdipendenza tra lavoro e salute?

C’è un capitolo del rapporto dedicato a come la contrattazione, soprattutto decentrata, ha cogestito in maniera più capillare  la sicurezza e le modalità del lavoro, penso ad esempio allo smart working. Questa è una cosa nuova nel nostro mercato del lavoro in cui la partecipazione e la cogestione non ci sono mai state. Se vogliamo, è un insegnamento positivo di questo terribile momento che speriamo perduri anche dopo la crisi. 

Nel rapporto si parla di situazione potenzialmente “esplosiva”.

Abbiamo una situazione grave pronta ad esplodere, destinata ad amplificarsi con lo scadere del blocco dei licenziamenti e l’interruzione della cassa integrazione. Il dato ancor più preoccupante è che quando diciamo, nel rapporto, che circa 12 milioni di lavoratori sono stati beneficiari di sostegni, vuol dire che la metà della popolazione lavorativa attiva italiana è vissuta in una specie di “bolla assistita”. Capisco siano necessari interventi, ma dopo 12 mesi così, con metà della popolazione che è stata inattiva o in smart working emergenziale, abbiamo tutti perso vitalità, anche i più vitali di noi. 

Quali sono le principali spinte al cambiamento e quali le azioni necessarie per accompagnare le trasformazioni in atto, guardando anche al cospicuo piano di investimenti europeo? 

Le grandi linee sono chiare, non esiste più l’economia del secolo scorso, già era un po’ che lo si vedeva, dalle prime tecnologie fino alla digitalizzazione, all’intelligenza artificiale ecc. Sono cambiati gli strumenti di lavoro e lo smart working è solo uno degli aspetti più visibili. La direzione è la seguente: il futuro sarà digitale e “verde”, che vuol dire il contrario del secolo scorso, analogico e “nero”. Abbiamo 6 anni di tempo con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Siamo già in ritardo. La direzione è travolgente, e il lavoro è interessato in primis. Così come 70 anni fa abbiamo dovuto sconfiggere l’analfabetismo, adesso dobbiamo fare un piano di alfabetizzazione digitale. Questa è la prima cosa da fare, è una delle indicazioni fondamentali dell’Unione Europea. Nel nostro piano vuol dire potenziare i sistemi poiché al momento non abbiamo gli strumenti per fronteggiare questo grande rimescolamento di carte che comporterà la transizione verde e la transizione digitale. Tanti lavoratori dovranno essere alfabetizzati rispetto al digitale e alla sostenibilità e dovranno cambiare  professione e spesso cambiare impresa, e l’impresa a sua volta dovrà cambiare pelle. Le politiche attive dovranno gestire le transizioni: ci saranno milioni di persone, lavoratori dipendenti e autonomi, da gestire nelle transizioni da un settore all’altro, da un livello professionale all’altro ecc. Abbiamo 5-6 anni, altrimenti perdiamo il treno. 

Dal rapporto emergono dati tragici sull’occupazione femminile, confermati anche dai più recenti bollettini Istat. È possibile invertire la tendenza e in che modo? 

Abbiamo un problema di parità di genere, per dirla in maniera più ampia. Il Covid ha avuto due effetti immediati. Il primo è che questa emergenza colpisce non i settori industriali, ma i settori a più alta intensità di lavoro relazionale e di cura in cui le donne sono molto presenti. Il secondo è che la chiusura delle scuole ha sovraccaricato ancora di più il lavoro familiare delle donne. A ciò possiamo aggiungere che le donne si sono anche servite di meno dello smart working.  Bisogna comprendere adesso come migliorare gli strumenti di conciliazione vita lavoro e rafforzare i servizi all’infanzia e per l’assistenza agli anziani. Si può guardare alle buone prassi della Francia e dei Paesi del nord. Ovviamente bisogna combattere pregiudizi e stereotipi.  

categorie note