il job hopping riguarda quasi un milione di lavoratori, ma è davvero un fenomeno nuovo anche in Italia?

Negli ultimi anni, complici anche i social network, sembra essere aumentata l’attenzione rispetto a fenomeni nuovi e non, relativi al mercato del lavoro, spesso etichettati con termini inglesi e accattivanti: quiet quitting, great resignation, green hushing, … Abbiamo scelto di analizzare quello che viene chiamato job hopping ossia la tendenza a “saltare” da un lavoro ad un altro con una certa frequenza per vedere se si tratta davvero di una novità o se invece è semplicemente lo specchio di un andamento fisiologico dei mercati.

30.08.2023

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Cos’è il job hopping

Viene comunemente chiamata job hopping la tendenza per la quale un lavoratore sceglie di  “saltare” da un lavoro ad un altro con una certa facilità. La letteratura lo osserva come un fenomeno che riguarda in particolar modo la generazione dei millennials (i nati tra il 1981 e il 1995) e che fino a poco tempo fa caratterizzava soprattutto i lavoratori delle professioni digitali.

È una tendenza, se così vogliamo chiamarla, che fa notizia per diverse ragioni. Nel campo delle professioni digitali ha rappresentato senz’altro una dinamica interessante, ma legata all’assoluta peculiarità di un settore nel quale in poco tempo è esplosa un’enorme domanda di lavoratori a livello globale, permettendo ai professionisti disponibili sul mercato, numericamente inferiori alla domanda, di effettuare un gioco al rialzo rispetto al salario e alle condizioni lavorative. Sotto questo profilo tale comportamento è la diretta conseguenza del crescente potere contrattuale dei lavoratori, tuttavia ha avuto effetti positivi anche sulle aziende. Alcune ricerche hanno infatti dimostrato che le aziende IT che ricevono job hoppers sono portate ad investire maggiormente in tecnologie, aumentando la loro produttività del 20-30%.

Come abbiamo identificato i perimetri del job hopping

Per la nostra analisi abbiamo scelto di definire i confini dei job hoppers in maniera piuttosto stringente ossia i lavoratori dipendenti che hanno cessato il proprio contratto a meno di due anni dalla sua attivazione in maniera volontaria. Questa definizione ci ha permesso, a nostro parere, di identificare i job hoppers in maniera più mirata, perché abbiamo in tal modo escluso dal conteggio gli individui che sì, mostrano dinamiche analoghe, ma per motivi differenti. Non rientrano ad esempio nei nostri conteggi i lavoratori e le lavoratrici che hanno effettuato le dimissioni forzate oppure si sono dimesse per maternità.

Quasi un milione di job hoppers in Italia

Abbiamo considerato l’ultimo decennio a disposizione, 2011-2021. Nel 2021 i job hoppers sono stati in totale più di 900mila, ma, rispetto all’ultimo decennio, l’andamento non mostra una crescita: al contrario, nel 2015 erano circa 850mila, nel 2011 superavano il milione. 

Tabella 1. I migranti internazionali presenti nei Paesi del G7 nell’anno 2020.

Nel grafico 1 abbiamo rappresentato la serie storica del rapporto annuale tra il numero di dimissioni volontarie effettuate entro i due anni successivi all’attivazione del contratto e il numero di attivazioni relative all’anno. Segnaliamo che i dati a nostra disposizione per l’ultimo anno, il 2021, si fermano al 30 giugno 2022 (la linea continua), e dunque, riportando metà anno, presentano valori più bassi di quelli che saranno i numeri effettivi. Abbiamo pertanto fatto una stima dei conteggi al 30 dicembre 2022, dove si aggiungeranno anche tutte le dimissioni dei 6 mesi successivi.

Possiamo notare come innanzitutto tutte le classi di età sono distribuite in modo graduale, con le classi più giovani che mantengono sempre i valori più alti. Questa maggiore dinamicità può essere dovuta a caratteristiche fisiologiche: in età più matura la stabilità rappresenta un valore più ricercato, mentre in età più giovani si è alla ricerca del proprio percorso di carriera e ciò può prevedere anche dei legittimi cambi di rotta.

Se consideriamo questo tipo di mobilità job hopping notiamo come, così come è stato per i valori assoluti, non si tratta di un fenomeno degli ultimi anni, perché i valori più alti sono presenti all’inizio della serie. Quello che si nota è che dopo un periodo di flessione, a partire dal 2019 la tendenza è quella di tornare ai valori iniziali della nostra serie. 

Anche nella serie storica della popolazione per genere (anche qui il secondo semestre del 2022 rappresenta una proiezione) vediamo che la tendenza sta ricominciando a salire verso i livelli dei primi anni analizzati. Notiamo poi che le donne hanno valori sempre più bassi rispetto agli uomini.  

In entrambi i grafici notiamo una flessione corrispondente all’anno 2015, tanto più significativa quanto più intenso era il fenomeno. Si tratta del periodo in cui l’economia ha iniziato complessivamente a dare segnali di ripresa dopo la crisi del 2007-2008.

Job hopping e mobilità settoriale più alti per giovani, uomini e per chi possiede un titolo di istruzione superiore

Una volta analizzata la tendenza abbiamo cercato di capire se le persone che hanno cambiato lavoro sono rimaste o meno nel proprio settore di appartenenza. Rispetto alle variabili di genere e di età il fenomeno non mostra differenze degne di nota nell’ultimo decennio rispetto alla tendenza di cambiare settore.

 

Anche in questo caso è emerso come i lavoratori più giovani, dai 15 ai 34 anni, tendono a cambiare settore con più facilità rispetto ai lavoratori più anziani. In particolar modo il fenomeno è inversamente proporzionale al crescere dell’età. 

Le donne tendono a rimanere nello stesso settore leggermente più degli uomini: nel 2021, su 10 dieci donne che hanno cambiato lavoro, circa 5,8 sono rimaste nello stesso settore. Sempre nel 2021, su 10 uomini che hanno cambiato lavoro sono invece circa 4,8 quelli che sono rimasti nello stesso settore. 

Le donne mostrano dunque sia una minore propensione al job hopping sia, laddove invece cambiano lavoro, una minore propensione a cambiare settore. Quelli che qui osserviamo sono i dati di esito di processi di cui non possiamo conoscere le molteplici cause. Nell’analizzarli va pertanto tenuto conto delle numerose variabili in gioco: i differenti settori di occupazione per genere, le diverse leve sulle quali un lavoratore ed una lavoratrice possono fare forza nel corso del processo. Non sappiamo ad esempio, a fronte di un avvenuto cambiamento di carriera, quanti sono i tentativi che un lavoratrice o un lavoratore hanno tentato in precedenza. Dobbiamo poi tenere conto della differenza di genere nell’accesso al mercato del lavoro e nella possibilità di fare carriera. Come ben sappiamo, le donne affrontano ad esempio maggiori ostacoli e possibili interruzioni di carriera spesso dovuti alle difficoltà di conciliazione dei ruoli di cura, che ancora pesano maggiormente sulle donne.

Rispetto al titolo di studio, nei primi anni della nostra analisi, in particolar modo fino al 2019, i lavoratori con diploma o titolo superiore tendevano a cambiare settore in misura maggiore rispetto ai lavoratori in possesso di licenza elementare. A seguito della pandemia tale tendenza continua per chi possiede il diploma, mentre sembra essersi attenuata per i lavoratori in possesso di laurea o titolo di studio superiore e ad oggi non si notano particolari differenze.

Osservazioni

Come tanti altri fenomeni, il job hopping ha motivazioni e conseguenze sia positive che negative per le aziende e per i lavoratori. Come abbiamo visto, non sembra rappresentare tanto una moda degli ultimi anni, quanto una fisiologica risposta che rispecchia l’andamento più o meno “sicuro” del mercato e che può o meno spingere i lavoratori a cercare una posizione diversa. Nel contesto attuale di forte mismatch il job hopping assume certamente una valenza particolare e richiede di essere osservato per individuare dinamiche e motivazioni. La sua conoscenza è utile per le aziende per elaborare adeguate strategie non solo per attrarre talenti, ma anche per trattenerli. 

Evoluzione dei valori

Come abbiamo visto, spostarsi con frequenza da un lavoro ad un altro è una dinamica tanto più presente quanto più è giovane l’età dei lavoratori. Se osserviamo le motivazioni che globalmente vengono associate a questo tipo di comportamento possiamo notare come i valori che fanno leva sui job hoppers sono i medesimi che emergono ormai da tempo rispetto alle nuove generazioni di lavoratori. I fattori utili, oltre alla retribuzione, per attrarre e trattenere i talenti sono ormai noti: maggiore conciliazione tra vita e lavoro, flessibilità, maggiori opportunità di carriera, possibilità di crescita personale, formazione, ricerca di un migliore allineamento tra la scala di valori personali e quelli della propria azienda (IBM, Randstad).

Per rapportarsi con il job hopping in maniera costruttiva le aziende devono quindi aver bene presente tali fattori, ricordando come l’approccio nella gestione dei dipendenti deve necessariamente essere a conoscenza dei cambiamenti che stanno prendendo piede di anno in anno tra i loro lavoratori, per i quali ciò che conta oggi è un po’ più lo scopo e un po’ meno lo stipendio, un po’ più il proprio sviluppo e un po’ meno la valutazione, un po’ più la propria vita personale e un po’ meno il lavoro (Gallup). Il cambiamento va accolto superando le rigidità e facendo leva sulla trasparenza e soprattutto sulla comunicazione.

Certo, a primo impatto può spaventare quella che sembra essere una disaffezione dei lavoratori rispetto al proprio datore di lavoro. Culturalmente la fedeltà e il rimanere a lungo all’interno della medesima azienda fino a poco tempo fa rappresentavano un valore, anche in fase di ricerca di lavoro. Il crescente mismatch presente oggi ha fatto gradualmente sì che ciò cambiasse, ma ancora una volta, occorre osservare la novità cercando di comprenderla e adattandosi al cambiamento.

bibliografia.

Belete, Turnover Intention Influencing Factors of Employees: An Empirical Work Review, Journal of Entrepreneurship & Organization Management, 7,3, 2018

Deloitte, A call for accountability and action, The Deloitte global 2021 millennial and gen Z survey, 2021

Gallup, How Millennials Want to Work and Live, 2016 

Gao, Luo, Tang, Effects of managerial labor market on executive compensation: Evidence from job-hopping, Journal of Accounting and Economics, volume 59, (2–3), pagg. 203-220, 2015

IBM Institute for Business Value, What employees expect in 2021. Engaging talent in the shadow of COVID, 2021 

Novelli, Job hopping e mismatch: il dinamismo del mercato del lavoro porta nuovi rischi, Il Sole 24 Ore, 31 gennaio 2023 

Pandey, Job Hopping Tendency in Millenials, NCC Journal, volume 4 (1), pagg. 41–46, 2019

Prasanna, Lorin, Job Hopping, Information Technology Spillovers, and Productivity Growth, Management Science, volume 60 (2), pagg. 338-355, 2013

Randstad, Employer brand research, 2023.

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