Anche nella serie storica della popolazione per genere (anche qui il secondo semestre del 2022 rappresenta una proiezione) vediamo che la tendenza sta ricominciando a salire verso i livelli dei primi anni analizzati. Notiamo poi che le donne hanno valori sempre più bassi rispetto agli uomini.
In entrambi i grafici notiamo una flessione corrispondente all’anno 2015, tanto più significativa quanto più intenso era il fenomeno. Si tratta del periodo in cui l’economia ha iniziato complessivamente a dare segnali di ripresa dopo la crisi del 2007-2008.
Job hopping e mobilità settoriale più alti per giovani, uomini e per chi possiede un titolo di istruzione superiore
Una volta analizzata la tendenza abbiamo cercato di capire se le persone che hanno cambiato lavoro sono rimaste o meno nel proprio settore di appartenenza. Rispetto alle variabili di genere e di età il fenomeno non mostra differenze degne di nota nell’ultimo decennio rispetto alla tendenza di cambiare settore.
Anche in questo caso è emerso come i lavoratori più giovani, dai 15 ai 34 anni, tendono a cambiare settore con più facilità rispetto ai lavoratori più anziani. In particolar modo il fenomeno è inversamente proporzionale al crescere dell’età.
Le donne tendono a rimanere nello stesso settore leggermente più degli uomini: nel 2021, su 10 dieci donne che hanno cambiato lavoro, circa 5,8 sono rimaste nello stesso settore. Sempre nel 2021, su 10 uomini che hanno cambiato lavoro sono invece circa 4,8 quelli che sono rimasti nello stesso settore.
Le donne mostrano dunque sia una minore propensione al job hopping sia, laddove invece cambiano lavoro, una minore propensione a cambiare settore. Quelli che qui osserviamo sono i dati di esito di processi di cui non possiamo conoscere le molteplici cause. Nell’analizzarli va pertanto tenuto conto delle numerose variabili in gioco: i differenti settori di occupazione per genere, le diverse leve sulle quali un lavoratore ed una lavoratrice possono fare forza nel corso del processo. Non sappiamo ad esempio, a fronte di un avvenuto cambiamento di carriera, quanti sono i tentativi che un lavoratrice o un lavoratore hanno tentato in precedenza. Dobbiamo poi tenere conto della differenza di genere nell’accesso al mercato del lavoro e nella possibilità di fare carriera. Come ben sappiamo, le donne affrontano ad esempio maggiori ostacoli e possibili interruzioni di carriera spesso dovuti alle difficoltà di conciliazione dei ruoli di cura, che ancora pesano maggiormente sulle donne.
Rispetto al titolo di studio, nei primi anni della nostra analisi, in particolar modo fino al 2019, i lavoratori con diploma o titolo superiore tendevano a cambiare settore in misura maggiore rispetto ai lavoratori in possesso di licenza elementare. A seguito della pandemia tale tendenza continua per chi possiede il diploma, mentre sembra essersi attenuata per i lavoratori in possesso di laurea o titolo di studio superiore e ad oggi non si notano particolari differenze.
Osservazioni
Come tanti altri fenomeni, il job hopping ha motivazioni e conseguenze sia positive che negative per le aziende e per i lavoratori. Come abbiamo visto, non sembra rappresentare tanto una moda degli ultimi anni, quanto una fisiologica risposta che rispecchia l’andamento più o meno “sicuro” del mercato e che può o meno spingere i lavoratori a cercare una posizione diversa. Nel contesto attuale di forte mismatch il job hopping assume certamente una valenza particolare e richiede di essere osservato per individuare dinamiche e motivazioni. La sua conoscenza è utile per le aziende per elaborare adeguate strategie non solo per attrarre talenti, ma anche per trattenerli.
Evoluzione dei valori
Come abbiamo visto, spostarsi con frequenza da un lavoro ad un altro è una dinamica tanto più presente quanto più è giovane l’età dei lavoratori. Se osserviamo le motivazioni che globalmente vengono associate a questo tipo di comportamento possiamo notare come i valori che fanno leva sui job hoppers sono i medesimi che emergono ormai da tempo rispetto alle nuove generazioni di lavoratori. I fattori utili, oltre alla retribuzione, per attrarre e trattenere i talenti sono ormai noti: maggiore conciliazione tra vita e lavoro, flessibilità, maggiori opportunità di carriera, possibilità di crescita personale, formazione, ricerca di un migliore allineamento tra la scala di valori personali e quelli della propria azienda (IBM, Randstad).
Per rapportarsi con il job hopping in maniera costruttiva le aziende devono quindi aver bene presente tali fattori, ricordando come l’approccio nella gestione dei dipendenti deve necessariamente essere a conoscenza dei cambiamenti che stanno prendendo piede di anno in anno tra i loro lavoratori, per i quali ciò che conta oggi è un po’ più lo scopo e un po’ meno lo stipendio, un po’ più il proprio sviluppo e un po’ meno la valutazione, un po’ più la propria vita personale e un po’ meno il lavoro (Gallup). Il cambiamento va accolto superando le rigidità e facendo leva sulla trasparenza e soprattutto sulla comunicazione.
Certo, a primo impatto può spaventare quella che sembra essere una disaffezione dei lavoratori rispetto al proprio datore di lavoro. Culturalmente la fedeltà e il rimanere a lungo all’interno della medesima azienda fino a poco tempo fa rappresentavano un valore, anche in fase di ricerca di lavoro. Il crescente mismatch presente oggi ha fatto gradualmente sì che ciò cambiasse, ma ancora una volta, occorre osservare la novità cercando di comprenderla e adattandosi al cambiamento.