Le priorità dei lavoratori italiani: equilibrio vita-lavoro e stipendio
Ai primi tre posti nella lista di ciò che viene ritenuto maggiormente importante per il proprio lavoro attuale e futuro, per il campione italiano, troviamo l’equilibrio tra vita e lavoro (scelto dal 94% dei rispondenti), lo stipendio (93%) e la sicurezza del posto di lavoro (90%). Se è vero che la pandemia ha inciso fortemente nel ristabilire la lista delle priorità dei lavoratori, è anche verò che l’influenza si vede nell’accresciuta importanza che viene conferita alla propria vita al di fuori del luogo del lavoro. Ciò non esclude il valore attribuito allo stipendio, che come vediamo si distacca di un solo punto percentuale.
“Vorrei, ma non posso”
Osservando i risultati ottenuti non si può fare a meno di notare che l’umore dei lavoratori, italiani, sembra essere un puntuale specchio del mercato del lavoro, italiano, nel quale si muovono. Il disallineamento tra le competenze richieste dal mercato del lavoro e quelle possedute dai lavoratori (mismatch), la produttività “stagnante” che ci caratterizza come Paese, un mondo del lavoro che, in generale, dialoga poco sia con il mondo della formazione sia con quello dei talenti. Questi elementi caratterizzanti del nostro panorama sembrano riflettersi nel tono scoraggiato delle risposte fornite dal campione nazionale a confronto con quello globale.
Se è vero che oggi i lavoratori italiani chiedono a gran voce e prima di ogni cosa il rispetto della separazione tra vita privata e vita lavorativa, è anche vero che un lavoratore su due si dice disposto ad accettare ugualmente un lavoro che incide negativamente su questo aspetto così importante e soltanto un lavoratore su tre lascerebbe un lavoro che gli impedisce di godersi la vita.
L’arrendevolezza dei nostri lavoratori si nota ancor di più relativamente agli aspetti che concernono la flessibilità, ancora oggi considerata un lusso per tanti. Rispetto alla media globale siamo più disposti ad accettare lavori che non offrono flessibilità, lavori che non offrono la possibilità di lavorare da casa e siamo più disposti ad accettare l’eventualità che il nostro capo ci chieda di andare più di frequente in ufficio. Tra tutte le cose, gli italiani che lavorano da remoto hanno anche investito significativamente meno nell’adattare in maniera sostanziale la propria vita al lavoro da remoto, non essendo del tutto certi che smart working e telelavoro siano qui per restare.
Ripartire dall’ABC
I risultati emersi per il campione italiano, soprattutto se confrontati con la media globale, descrivono un complesso di lavoratori scoraggiati e demotivati. Possiamo attribuire parte di questo stato d’animo a fattori esterni relativi al periodo storico in cui viviamo. Tali fattori non riguardano tuttavia soltanto il nostro Paese e dunque va da sè che alcune ragioni di questo scoraggiamento vanno cercate all’interno del nostro mercato del lavoro. L’ABC proposto dal Randstad Workmonitor suggerisce, come abbiamo visto, 3 parole chiave da sviluppare: ambizione, equilibrio, connessioni. Come è noto, la demotivazione influisce negativamente non soltanto sul benessere personale, ma anche sulla produttività. Una buona strategia per migliorare le condizioni attuali è quella nella quale i datori di lavoro adottano comportamenti proattivi nel porgere l’orecchio ai propri dipendenti, presenti e futuri, per plasmare offerte variegate e modellate sulle diversità di ciascuno.